Don Roberto Sardelli è morto a Roma all’età di 83 anni. Originario di Pontecorvo, in provincia di Frosinone, è conosciuto soprattutto per la sua scuola tra le baracche dell’Acquedotto Felice a cavallo tra gli anni ’60 e ’70, anche se il suo lavoro e i suoi pensieri sulla città e sulla condizione dei suoi poveri non hanno mai abbandonato Roma, tanto che nel novembre scorso è stato insignito di una laurea ad honorem in Scienze pedagogiche a Roma Tre.
Don Roberto Sardelli diventa sacerdote nel 1965, formatosi nell’ambito della scuola di Don Milani e con alle spalle l’esperienza francese dei preti operai. È quando assume l’incarico alla parrocchia di San Policarpo che si avvicina alla baraccopoli dell’Acquedotto Felice, abitata da immigrati italiani nella capitale in cerca di lavoro. E proprio qui, tra i baraccati, che Don Roberto decide di trasferirsi pochi mesi dopo. Era il 1968. Don Roberto trasformò il fermento politico di quegli anni in una scuola. Una scuola per rivendicare diritti, anche materiali come l’acqua, e dignità per quelle persone costrette a vivere in condizioni estremamente precarie.
Si chiamava ‘Scuola 752’, dal numero civico della baracca dove trovava spazio, e tutti i pomeriggi era aperta a quei bambini “dimenticati” e discriminati dalla “scuola borghese” che frequentavano al mattino. E proprio con la sua scuola la voce di questi bambini prese la forma di una lettera, la cui stesura ha impiegato 10 mesi di lavoro, indirizzata direttamente all’allora sindaco di Roma, Rinaldo Santini. “La politica è l’unico messo umano per liberarci”, la denuncia, e l’insegnamento, che dalle baracche attraverso i giornali si è fatta sentire in tutte le case del Paese accendendo i riflettori sulle condizioni di povertà in cui erano costrette a vivere queste famiglie.
L’azione di don Roberto continuò che negli anni successivi, fino ad intrecciarsi alle battaglie che negli anni ’70 i senza casa della città portarono avanti per vedersi riconosciuto il diritto ad un’abitazione.
37 anni dopo, sempre insieme agli ormai ex bambini dell’Acquedotto Felice, scrive ‘Per continuare a non tacere’, una seconda lettera indirizzata all’allora sindaco della città, Walter Veltroni. “Un governo locale democratico non può assistere rassegnato alla divisione tra i cittadini in ragione del censo” scriveva ormai oltre 10 anni fa. “E’ urgente invertire la rotta”.
“Sono profondamente addolorata per la scomparsa di don Sardelli” scrive in una nota la presidente del Municipio I, Sabrina Alfonsi. “I suoi tanti scritti, che dagli anni ’70 si concentrarono sulla denuncia della crescita del consumismo sfrenato, il declino dell’etica pubblica e l’aumento dell’intolleranza per il diverso e i più deboli, furono profetici”. Lo ricordano anche Giulio Pelonzi capogruppo Dem in Campidoglio ed Erica Battaglia della Direzione regionale del Pd: “Don Sardelli è stato esempio per tanti giovani che sin dagli anni ’70 hanno seguito il suo esempio. Il suo esempio, il suo coraggio, il suo insegnamento non siano dimenticati, ma anzi valorizzati”. E ancora la Cisl di Roma Capitale e Rieti: “Roma, oggi, è più povera e i poveri sono, purtroppo, ancora più soli. Rimane una grande lezione di vita e di umanità, che ci porteremo dentro come il tesoro più prezioso”.
[ via RomaToday ]