di Laura Larcan,
il Messaggero, ed. Roma, 22 aprile 2017.
Anche l’ultimo ponteggio sta per essere smontato. E gli archeologi maneggiano con cura materna l’ultimo dei reperti rinvenuti. L’emozione si respira nell’aria. Non è così scontato trovare ancora in situ le travi in legno di duemila anni fa su cui vennero costruite le volte delle arcate dell’ acquedotto dei Quintili. Il monumento, che alimentava i giochi d’acqua dell’omonima Villa imperiale (buen retiro di Commodo), svela ora una rinata bellezza con brani inediti di storia, dopo un lungo e complesso intervento di restauro avviato nel 2015 dalla Soprintendenza statale sotto la direzione dell’archeologa Rita Paris. La sequenza di piloni e arcate colossali, alte oltre tredici metri, regala un colpo d’occhio da epopea del Grand Tour. E passeggiare all’ombra di un’architettura così imponente con la dignità di storia sulle spalle, offre una sensazione rara, che il pubblico potrà finalmente godere.
La fierezza dell’ingegneria romana, sulla testa. Il decoro di un percorso pedonale e ciclabile contaminato di verde, tutto intorno. Eccolo, un primo traguardo per il nuovo parco archeologico dell’Appia Antica, che sta per festeggiare la rinascita di un monumento di 120 arcate datate al I d.C. dopo anni di degrado e crolli. Così amato da artisti come Goethe e Piranesi, lo si può scorgere alla destra dell’Appia Nuova, poco prima di raggiungere il Grande raccordo anulare. E da qui, continua snodandosi per circa 720 metri, raggiungendo l’area di Torre Selce al VII miglio dell’ Appia Antica. Il bello dell’operazione (costata 1,1 milioni di euro) è che non si ferma solo al risanamento delle strutture, ma punta anche ad un restyling in termini di fruibilità pubblica, riqualificando l’area lungo il monumento per offrire percorsi pedonali e ciclabili.
C’è voluto lo staff di Rita Paris, coordinato dall’archeologo Riccardo Frontoni, per affrontare l’ Acquedotto nella sua complessità strutturale, giocando anche con le potenzialità della tecnologia, visto che l’uso dei droni ha permesso agli studiosi quelle preziose rilevazioni fotografiche per un’indagine della zona sommitale, mai vista prima. E le scoperte non sono mancate. A partire dalle quattro travi della centina lignea (castagno), servita per la costruzione delle volte delle arcate, eccezionalmente conservate (il reperto del pilone 49 presenta addirittura parte della corteccia). Lo studio ravvicinato delle strutture ha permesso di identificare anche inaspettate prove archeologiche: «L’abbattimento di alcune arcate e la tamponatura di alcuni archi con murature in blocchetti di peperino – annuncia la Paris – fanno ipotizzare un collegamento suggestivo ai fatti bellici raccontati da Procopio di Cesarea a proposito dell’ultima guerra gotica condotta nel VI secolo dalle milizie di Vitige nel 537 d.C. Fino ad oggi solo le fonti storiche avevano narrato del terribile assedio durato un anno, imposto a Roma dal re dei Goti che aveva strategicamente chiuso le arcate dell’ acquedotto per far accampare settemila uomini, e bloccare i rifornimenti alla città dall’ Appia». Inoltre, le indagini, condotte eseguendo alcuni approfondimenti stratigrafici mirati, hanno rimesso in luce le tracce delle attività del cantiere antico. «Tra i materiali recuperati sono interessanti alcuni frammenti ceramici provenienti dallo strato di cantiere romano – dice la Paris – tra i quali spicca il piede di una coppetta a vernice nera collocabile tra fine II secolo a.C e I d. C., e un vasetto potorio inquadrabile nello stesso periodo con attardamenti nel II secolo d.C.».
E’ noto che Vitige, assediando Roma…“con l’intento di costituire un campo fortificato, chiuse le arcate di tratti degli acquedotti Claudio e Marcio con terra e pietra, realizzando di fatto un fortilizio naturale in cui fece accampare non meno di settemila uomini, al fine di bloccare l’afflusso di rifornimenti all’Urbe dalla via Appia e dalla via Latina. Tranciando poco dopo gli acquedotti, che non furono più ripristinati, interruppe definitivamente il flusso idrico della città”. Il recconto è di Procopio di Cesarea, nella sua Guerra Gotica. Rita Paris precisa,: «La distanza che separa questa struttura da quelle ben più imponenti degli acquedotti Claudio e Marcio, impone tuttavia prudenza. Per lo meno sull’esistenza di un unico sistema difensivo. Le murature tra i piloni potrebbero semplicemente segnare limiti di proprietà, irrobustendo al contempo la costruzione in mattoni».
L’articolo «Appia Antica, svelato l’Acquedotto usato dai barbari per assediare Roma» proviene da Via Appia Antica.
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